gen 30, 2016 Carmelo Nigro Cinema, Home Page 0
Che Tarantino fosse grande lo si sapeva, è il quanto che non cessa di stupire. Nella sua ottava pellicola, The Hateful Eight, infatti il regista raggiunge nuovi livelli di maturità cinematografica, conservando sempre però tutte le caratteristiche più ludiche e smargiasse del suo cinema: quell’ ultraviolenza dall’ironia sopra le righe per esempio, che stempera e fa da contraltare ad una crudeltà e spregiudicatezza altrimenti quasi insostenibili. Il fatto è che nel cinema di Tarantino tutto si tiene: la logorrea, la violenza, l’ironia, il racconto spietato e impietoso di chi siamo e dove viviamo.
The Hateful Eight cammina senza timore sul filo della tensione, elegante e sfacciato sui frammenti di specchi infranti, in un vorticare di parole, personaggi e azioni. Chiusi nell’emporio di Molly (ecco spiegato l’uso del 70mm, a far entrare dentro la scena, nel mezzo della storia), ci si perde dentro un film caleidoscopio composto di pezzi provenienti da tutti quelli di Tarantino: gli inganni de Le iene per esempio, gli incroci di Pulp Fiction, la violenza irrefrenabile di Kill Bill e la teatralità di Grindhouse, le ambizioni storiche di Bastardi senza gloria e l’antirazzismo di Django.
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